L’OSCURA NOTTE DELL’ANIMA parte I

Quando senti il vuoto dentro di te e percepisci quello che sei come avvolto nella nebbia più profonda, tanto da perdere la congiunzione con ciò che sai, con ciò che senti, con ciò a cui aneli, sei arrivato a quello che gli Esseni definiscono l’Oscura Notte dell’Anima.

Non c’è appiglio, non cura, non fuga. Devi solo immergerti ed aspettare che tu stesso abbia assimilato ogni sequenza e ogni sospiro di quel passaggio oscuro e temuto. Il suo dolore è denso come il suo respiro. Vive di una vita propria, che tu stesso gli hai dato con il tuo vivere e pensare, con il fluire delle incarnazioni attraverso cui ti sei forgiato per arrivare fino a qui, ad incontrarlo e a lasciargli volutamente lo spazio di esistere in te ed intorno a te, perché solo così può avvenire la tua trasformazione. Lo sai e lo senti.

Nel profondo dell’anima c’è il dolore del distacco avvenuto, senza aver mai avuto prima l’amore della perdita, senza aver mai avuto, c’è il dolore della consapevolezza che c’è un vuoto perenne dentro di te ed una mancanza a cui ogni tuo sforzo non può portare giovamento. Ciò che appare un sollievo è una fugace apparenza, ma non vi è rimedio ad una base mancante. L’edificio va demolito e ricostruito.

Per fare questo, basta guardarlo mentre si sgretola e, con la consapevolezza di ciò che è, basta aiutarlo a cadere completamente fino all’ultima pietra. Arrivati lì, è da guardare il disastro o la libertà della propria vita, guardare a che cosa ci congiunge il vuoto della distruzione di ciò che appariva solido, ma era solo un accumulo di massi in attesa di essere smantellati. E vento dopo vento, ciascuno di loro è caduto, prima uno alla volta e poi gli ultimi di colpo tutti insieme.

Sei stordito alla loro caduta, sicuramente solo e frastornato, senza appigli e punti di riferimento e, ogni qual volta sei sul punto di dire adesso basta, una piccola pietra che era rimasta lì si sfalda di più e scivola completamente giù con tutta la sua polvere.  E tu assisti e guardi e prendi consapevolezza ogni istante di più, fino a sentire quel vuoto che ti sfalda l’anima e ti risucchia le energie via lontano da te, non sai neanche dove.

In quel vuoto totale ti perdi e ti lasci perdere, oramai esausto e guardi come se non fossi più tu.

In quel pauroso distacco ti vai adesso ad immergere, con la coscienza di farlo, e nessuna più remora a lasciarti andare. Non è voglia di distruzione la tua, ma semplice resa a ciò che è, a ciò che ti avviene dentro e accanto, al tuo fluire con la vita, qualunque essa sia. E in questa resa le tue facoltà diventano più acute, affinate dalla sofferenza e dalla lotta contro te stesso, contro la vita che ti sospinge dove hai l’appuntamento con la tua oscura notte dell’anima.

Per quanto tu abbia fatto, niente è valso ad evitarla e niente ti può riportare all’infanzia primordiale del tuo ego, là dove desideravi essere amato e accudito al di sopra di tutto e dove anelavi a fonderti con l’amore che non hai mai ricevuto. In questo disastro continui a guardare e, oramai completamente scosso dagli eventi della tua vita di tutte le incarnazioni, che conosci e non, e che ti hanno portato fino a qui, acquisti una sorta di fermezza che, se anche per un attimo, ti porta a farti qualche domanda in più e ad osservare zone buie che non avevi mai esplorato, oltre il primo velo di Maya.

Così riporti l’attenzione a te in un’altra versione, in un aspetto finora inesplorato e pieno di vuoto. Lì trovi il tuo rapporto con Dio, quello che pensavi esserlo e quello che non sai che cosa sia. Ti ci tuffi, perché non hai più alternative, ci scivoli dentro, anche non volendo. Lo esamini da lontano prima e poi con cautela ti ci avvicini sempre di più, ne prendi consapevolezza e, a poco a poco, vedi o meglio percepisci qualche frammento di verità, o della verità che sei disposto e pronto a vedere ed accettare.

Hai una folgorazione dolorosa, che ti mostra la vita per come hai pensato che potesse essere, per come hai lasciato che fosse a tuo discapito, rimandando e posticipando o semplicemente facendo finta di nulla, per poter sopravvivere. Ma adesso sai che non sei sopravvissuto, che ogni sospiro di te, che hai permesso che se ne andasse per compiacere qualcuno, per ottenere l’amore mai avuto, è un soffio di vita perso, rinunciato per timore di esprimerti, di conoscerti e di vedere la tua bruttezza, perché chi non è amato è brutto e fa male al mondo.

Così sei scivolato via lontano da te stesso sempre di più, triste di molte vite accumulate nel cercare ciò che non avresti mai potuto raggiungere, perché proprio questo dovevi avere per poter arrivare a comprendere. Adesso lo sai, ne senti la sofferenza, la rabbia e l’inutilità di questa. Non sai come muoverti e arranchi per cercare di capire ciò che non è capibile, ma solo da accettare, da guardare senza giudizio e ricerca di spiegazione e da lasciar andare.

A questo punto, ti chiedi se ne è valsa la pena arrivare fino a lì dalla notte dei tempi, se non era meglio arrendersi subito al primo vagito delle proprie esistenze, senza neanche sapere che cosa la vita avrebbe mostrato per te e per il tuo percorso. Ma anche qui non c’è risposta, non c’è possibilità di vedere in profondità fino a che la ricerca della comprensione oscura la via e rende il percorso inagibile e tortuoso.

Solo l’accettazione, ti viene in mente, può dare ristoro alla tua anima stanca, l’accettazione di qualche cosa che ti ha rovinato la vita, negandoti la gioia, per ricordarti sempre che non sei degno, che altri lo sono ma non tu, che neanche tu puoi fidarti di te stesso per come sei. Ma accettare l’inaccettabile per qualsiasi senso di giustizia porta ad appesantirti l’anima ancora di più, come se per te non ci fosse alla fine neanche un briciolo di equità, come se tu stesso, così facendo, non sostenessi più la giustezza del tuo sentire e il dolore terribile che la mancanza di ciò che dovevi avere ti ha causato.

Nell’accettazione c’è la rinuncia a lottare per ciò che è giusto perché, oltre a tutto ciò che hai patito, ti si chiede di amare oltre il perdono e di lasciar andare persino oltre il ricordo, in modo che il tuo distacco sia totale e perenne. E qui, mentre lotti per distruggere un altro velo di Maya, o semplicemente per lasciarlo cadere, hai un’altra intuizione e ti chiedi come sei posto tu verso il Cosmo, come credi veramente che la Totalità si rivolga a te, come puoi essere sempre triste se il Mondo ti sorride.

Ti chiedi tutto questo e sei sopraffatto dalle tue stesse domande, alle quali hai paura di avvicinarti, sia pur con cautela, perché non sai se le risposte ti stravolgeranno, se saranno vere e profonde e che reazione avrai di fronte ad esse. Quindi resti lì ed osservi le domande che poni, chiedendoti perché non te le sei mai fatte prima e se hanno veramente un senso.

Ma un senso ce l’hanno, lo sai in fondo al cuore, perché in realtà hai sempre saputo che dovevi arrivare lì e sai che hai aspettato troppo e troppo hai rimandato quell’appuntamento con la tua anima, che doveva arrivare e che ora che è qui e ti fa persino tirare un sospiro di sollievo, perché la tanto temuta ora è arrivata e adesso non si può che superare.

IL GIORNO DELLA LEGGEREZZA

Molti di voi penseranno che la leggerezza sia cosa di pochi o di molti con la possibilità di non pensare al quotidiano e alle sue preoccupazioni, ma non è così. La leggerezza è un dono che raggiunge chiunque voglia intraprendere la via del contatto del proprio Sé e di tutto il mondo ad esso collegato. Non è una questione di possibilità economiche o di amicizie importanti, né di ricerca spasmodica del profondo a tutti i costi o del suo opposto superficiale.

Come detto è un dono, una meraviglia di stato d’animo e di percezione che giunge spontaneamente nel vostro cuore e in tutto l’essere, grazie alla preparazione che avete effettuato nel lungo periodo precedente durante la vita attuale e quelle anteriori. In molte incarnazioni avete provato, consapevolmente o no, a raggiungere vette più elevate di un semplice vivere terreno, con i suoi meriti e demeriti, e anche se non lo ricordate, questi tentativi vi hanno spianato la via per il momento attuale. Così in questo bastano un giusto utilizzo delle proprie conoscenze e la corretta determinazione emotiva per spingere in braccio al cambiamento. E questo arriva.

Non è preannunciato e dichiarato, ma arriva piuttosto come un visitatore furtivo e inatteso che, appena trova la giusta situazione, si presenta e si insedia portando il suo bagaglio di sapere e doni. È come per la meditazione, la nostra è solo una preparazione per poter attingere alla sua fonte. La sua conoscenza arriva solo quando siamo veramente disponibili e pronti per riceverla. E sempre leggerezza e meditazione sono collegate. Non si medita, se non in distacco dai problemi quotidiani ed eccezionali e non si è dotati di leggerezza se non si è distaccati dalle pesantezze che impediscono la meditazione.

Il primo punto da osservare e scoprire è l’affidabilità che noi diamo alle nostre azioni e al loro possibile successo. Siamo esseri di Luce nella sostanza e l’espressione delle nostre capacità si riverbera sempre nei nostri movimenti e nelle decisioni che prendiamo. Certo siamo più attenti al nostro profondo, se siamo noi a decidere dove vogliamo andare, invece di farci schiavizzare dalla mente e dai suoi pensieri.

E questo è il secondo punto da seguire, diventare responsabili di ciò che facciamo e che vorremmo compiere. Responsabilità e leggerezza vanno sempre di pari passo, perché solo nella consapevolezza di ciò che sono le nostre azioni e i loro moventi, noi possiamo recepire il giusto impulso a superarle e travalicarle per qualche cosa che le sublimi e le renda nel giusto splendore. Non è necessario fare sforzi per questo, ma semplicemente lasciar accadere senza opporsi. A volte l’opposizione al fluire è la nostra peggiore arma di controllo e blocco nell’evoluzione personale e nello sviluppo del Cosmo.

Non vi è niente di impervio, difficile o ostico in tale processo, ma solo una scelta fra essere e fare, tra accettazione di ciò che ci compete e pervade e dittatoriale scelta di controllo estremo, sia a fine benefici che per scopi poco nobili. La leggerezza compete a chi è libero dalla pretesa del comando su di sé e gli altri, a chi ha capito che per arrivare dove già siamo il passo è talmente breve da coprire lo spazio di un sospiro che venga dal cuore e che aneli con tutto sé a divenire ciò che è.

E questo è il terzo e ultimo passo della leggerezza, quello che richiede una totale avvincente consapevolezza di essere ciò che vogliamo diventare e che niente va fatto se non affidarsi al Superiore e lasciar fluire. Con la leggerezza si ricompone la visione interiore, la conoscenza dell’anima legata ai mondi sottili e a tutto il suo corredo di spiritualità e gioia profonda.

È il contrario della superficialità e solo gli yogi ne entrano in possesso, ma tutti possiamo esserlo. È previsto che tutti ci si risvegli a una divina leggerezza e ai suoi effluvi di fragranze dai mille profumi e altrettanti colori, di melodie parlanti e di vicinanze sottili. In fin dei conti basta crederci e lasciare che accada.

LA VITA OGGI

Sai che molto tempo addietro era molto più semplice vivere e pensare di Dio. Questo veniva quasi in automatico, perché la mente non aveva tanto da fare, se non ubbidire a chi la comandava e il gioco della vita era quello di sempre. Sapere di sé, di Dio e di ciò che comanda nel mondo dell’esistenza terrena, i cinque elementi e le loro derivazioni. Tutto questo portava a conoscere se stessi come gli altri e a porre il quesito relativo all’esistenza nel modo giusto e nei momenti appropriati.

Adesso non è più possibile. Il mondo di cui parlo apparteneva ad un’epoca passata e lontana, in cui le persone erano propense ad imitare chi sapeva più di loro e dava mostra del proprio sapere in modo consapevole ed appropriato. Non può essere così nell’epoca attuale, perché chi mostra è in genere consono solo ad aumentare il proprio ego e a riflettere la luce di altri in malo modo. Così il sogno dei grandi sembra svanito in un niente di fatto, perché i momenti passati di gloria della razza umana sembrano confusi in un ricordo che non esiste neanche più, se non in pochi o come leggenda.

Il periodo attuale è pesante, non ci sono dubbi, ma volge alla fine ed è già giunta la consapevolezza in molti del proprio destino, se unito a chi sa che cosa fa. La compagnia è basilare in ciò che si compie, la compagnia di pensieri, che non ci lasciano mai, di attività consone all’essere umano, di parole che rischiarino l’anima e che portino la gioia e la consapevolezza in altri simili. Non dubitate dell’energia delle parole e di quanto incidano nell’anima a scolpire sia in bene che in pesantezze. Nel passato lontano si sapeva e non si dubitava che queste portassero al risveglio o alla morte dell’anima, perché un soffio basta a generare un incendio, che porta alla consapevolezza o alla distruzione.

Siate voi i maestri di voi stessi e prendete le parole per accerchiare o limitare le responsabilità che vi sovrastano e per redimere i vostri limiti passati in nuovi entusiasmanti esseri che adesso siete. Non considerate la vita per quello che è all’apparenza o che sembra essere stata fino ad oggi, prendete piuttosto l’entusiasmo che avete in fondo al cuore per dissipare la paura in un’onda d’amore per voi stessi e il mondo intero. Siate certi di quello che fate e dell’attività che svolgete, con la consapevolezza che avete dalle vite passate.

Risvegliate il ricordo del vissuto lontano, del pensiero più recondito e di ciò che eravate in un passato che vi ha forgiati e che rispecchia il meglio di voi. La razza umana non è finita e non è pronta per essere distrutta o dimenticata. Riprendete l’olocausto in mano e trasformatelo in un qualcosa di divino, che bruci e distrugga le vostre bassezze, passate e presenti, e che riporti al mondo attuale i vecchi albori di una vita che fu e che torna prepotentemente in questi frangenti storici difficili e polverosi di dubbi e perplessità.

Rimanete saldi, fratelli miei, stabili nelle vostre conoscenze più recondite. Non dubitate di averle e siate responsabili di quello che fate, come dei più piccoli pensieri che avete. Lasciate andare quelli che appaiono come per magia oscura, come se non avessero alcuna importanza, perché in realtà non ce l’hanno, e dirigete gli altri in modo che vi possiate consapevolizzare sempre di più in quanto uomini, donne di un’epoca di transito che rimarrà nella storia futura, come l’epoca che ha forgiato le persone più appropriate per ristabilire la pace sulla Terra e il suo volto umano.

Siate consapevoli di questo grande compito e della bellezza che vi è dietro, oltre ogni dire che provenga da parole attuali. Siate più voi di quanto lo siete mai stati in passato, più devoti al vostro sé e a quello che sviluppa da tutti noi in un fiume di luce, come un unico essere che muove le fila di tutto quanto e che permette a noi come a voi di risplendere e filtrare la luce, facendola propria e diventando un tutt’uno con lei.

Siate ciò che siete da sempre, diventatene responsabili e capaci di assistere il rinnovo del mondo, perché la vostra esperienza è tanta e le gioia che date agli occhi del cuore porta all’anima la dignità che le compete.

La vita oggi tornerà ad essere quella che era nei tempi lontani e benedetti nell’alto dei Mondi conosciuti e non. Non vi sarà dimenticanza alcuna per chi vuole essere ciò che è e fare la sua parte, svolgere il suo compito perché tempi passati tornino a brillare di luce propria anche in queste terre desolate dell’anima attuale di madre Terra.

Non vi sono risposte più appropriate di queste al momento storico che attraversate e che a tutti voi che volete la gioia fa paura ed incute timore all’anima. Ma la vita che vi aspetta è veramente in sintonia con le grandi epoche passate e le paure passate e presenti saranno svanite quando sarete completamente consapevoli di voi e di noi nell’abbraccio divino. Siate gioiosi, il mondo vi sorride nel futuro che è già iniziato e la vita di oggi sarà la più bella di quelle antiche. Credete, noi siamo qui per questo!

I PASSI DELLA MEDITAZIONE

La comprensione degli aspetti della vita viene riflettendoci e meditando se un fatto, una questione o un evento sono giusti o no, se sono corretti per la vita che esiste tutto intorno a noi e per noi stessi. Meditare significa considerare in profondità e con sensibilità gli aspetti di qualche cosa o qualcuno. Questo porta a riflettere sull’essenza di ciò che è, della vita e del principio che unisce e governa.

Non è una pratica facile, perché siamo spesso fuorviati dalle considerazioni futili e immediate che ci legano alla quotidianità e ai nostri problemi strutturali e improvvisi. Eppure, è proprio la possibilità che abbiamo di vedere le questioni dell’esistenza in modo più distaccato, senza farcene toccare e poter arrivare così ad una decisione pratica che ci permetta di vivere meglio. Non è veloce il suo processo, non da fast food o usa e getta, ma porta all’abitudine di considerare l’utilità dei vari aspetti.

Questo è quanto più ci serve per essere attorniati dal positivo e dal creativo che ci può accompagnare. Non sto ancora parlando della meditazione intesa come pratica profonda e spirituale, ma di un inizio di attenzione alla praticità, aspetto altrettanto importante nella vita di tutti i giorni, che se ben sviluppato aiuta anche nella spiritualità. Noi siamo un tutt’uno di materia e spirito, fin che siamo sulla Terra, e con tale insieme abbiamo da imparare a convivere. Non è difficile, se seguiamo i dettami che la vita ci offre, manifestati nella Natura, che è la nostra prima maestra.

La comprensione della nostra esistenza è alla portata di tutti e il suo percorso può essere agevole e scorrevole, accettando le asperità che possiamo incontrare, come su qualsiasi cammino, fintanto che non viene completamente pulito. La nostra vita è una continua azione di pulizia, che deve essere programmata nei dettagli, considerando i benefici e i danni che ci può portare. Nella sua previsione serve la riflessione sui nostri atteggiamenti, che ci conduce ad avere uno sguardo più interiore di quello solo sulla pratica e che a questo è strettamente collegato.

Come si può comprendere se un agire o una cosa o situazione ci sono benefici o no, se non consideriamo il nostro comportamento verso di loro e le motivazioni che ci sono dietro? Il beneficio di qualche cosa può portare a positività maggiori, oppure no, e così viceversa. Ma ciò è sempre collegato al nostro sentire, alle nostre aspirazioni e al sottovalutare che spesso facciamo delle implicazioni che i nostri atteggiamenti comportano.

Partendo da questioni pratiche, ci si abitua all’osservazione e questo è il primo passo. Da qui all’attenzione di come facciamo le cose e di come ci arrivano è il secondo passo. Il terzo passo è considerare perché ci comportiamo in un certo modo e come mai ci arrivino sempre determinate situazioni.

Per fare questo bisogna andare un po’ più in profondità e supportare la nostra intelligenza pratica con l’uso dell’intuito e della memoria akashica. Dobbiamo cioè porci in una situazione di ascolto, più che di riflessione, che verrà dopo in modo più profondo e complesso, ma pur sempre semplice perché intuitivo.

Spesso non ci rendiamo conto del ripetersi delle nostre azioni, né ci soffermiamo sulle spinte interiori e automatiche che ci guidano. Il nostro subconscio ci spinge, senza che se ne abbia la consapevolezza. Ed è proprio questa che ci serve per risvegliare le capacità pratiche profonde, che ci consentono di prendere la nostra vita in mano. Non è il subconscio che deve comandare, ma la nostra mente superiore, buddhi, che ha la capacità di discernere tra utile e dannoso per ogni azione e per gli sviluppi che può comportare.

Quando si arriva a considerare la mente collegata al divino, siamo un passo in avanti nella nostra ricerca di consapevolezza interiore e ci dobbiamo preservare dagli influssi esterni e interni che ci portano a considerare di nuovo ciò che abbiamo abbandonato, perché non ne siamo ancora fuori, ma piuttosto al limite.

Questo è il quarto passo della meditazione, intesa come processo evolutivo di attenzione e sviluppo della sua pratica. Tutto ciò che è superfluo per capire la nostra essenza non ci interessa più e non ci distrae, se pratichiamo con costanza la riflessione sul quotidiano, ne cerchiamo i motivi nostri e del ripetersi degli eventi, se ancora c’è, e se lasciamo fluire le risposte che arrivano dal profondo, che va oltre l’inconscio e il subconscio. In tal modo arriva la consapevolezza di un’azione, di un pensiero e un sentimento, poi di altri e altri ancora e si comincia ad avere la visuale della nostra vita, sino ad allora sconosciuta.

Si cresce in possibilità di agire e in consapevolezza. Un essere umano è chiamato ad evolvere per comprendere ed agire in pienezza e tale comportamento va guadagnato come tutto nella vita. Maya, l’apparenza, fa da ostacolo e luccicante cornice, ma la sostanza giace nella quiete della profondità del nostro essere, dove possiamo arrivare con un quinto passo, che ci spinge nella non reazione a ciò che ci capita o noi stessi provochiamo e ci porta a prendere in mano la nostra vita, partendo da dove siamo, ma potendola cambiare.

Forse il cambiamento non sarà immediato e neanche pratico, almeno non subito, ma la sua presenza sarà tangibile per chi lo vive interiormente e per l’ambiente intorno. Considerando poi che le vibrazioni emesse da una persona che medita si diffondono nell’etere e si collegano a quelle simili emesse da altri, la sua pratica porterà ad un ampliamento esponenziale degli effetti benefici. E questi saranno tanto maggiori, quanto più è profonda la meditazione, a partire dall’osservazione delle questioni pratiche, fino a raggiungere la considerazione e attivazione di buddhi, con tutti i suoi passaggi, ed arrivare alla meditazione vera e propria, quella che fa fondere il meditante nel Divino e in tutta la Creazione.

Con la pratica ci si arriva e chiunque è chiamato in questa attitudine, che gli Yogi insegnano con il loro esempio e che risveglia totalmente le capacità umane e divine.  

LA GUERRA DI DIO

Non c’è parola che possa definire meglio dell’amore quello che Dio fa. La sostanza delle cose e la loro essenza sono racchiuse in questa piccola parola disattesa e mal considerata. Non è l’amore mondano che porta a comprendere, né quello per interesse personale mal celato, ma solo quello che guarda l’altro come parte di sé, una sua espressione grandiosa, perché ben vedibile.

Considerate che l’epoca in cui tutto si faceva per incuria, abitudine e monotonia è finita. Solo noi siamo capaci di rendercene conto completamente e in un attimo, noi che guardiamo dall’alto del mondo, con uno sguardo globale ben aperto e che risolviamo i problemi altrui in un attimo, quando c’è la vostra richiesta. Questo voi e noi è solo indicativo, per specificare e poter spiegare meglio, ma sappiamo che voi e noi siamo tutt’uno nello sguardo di Dio. E proprio di questo vi voglio parlare adesso.

Non è troppo tardi per imparare, mai lo è da un punto di vista senza tempo, ma nello scorrere del Kali Yuga (l’epoca più pesante attuale che sta finendo) e del suo movimento temporale sì lo è, perché può portare a ritardi eccessivi per accogliere il cambiamento. Questo arriverà comunque, per le forze cosmiche in atto, ma qualcuno e qualcosa potrebbero perdere l’occasione del movimento interiore definitivo. E questo costituirebbe un ritardo per gli interessati, che porterebbe a maggiori sofferenze.

Considerate che il dolore non è parte della nuova epoca iniziata. Nell’Età dell’Oro è la mente superiore che guida e che fa apprendere senza soffrire. Quando c’è l’impulso elevato alla comprensione e si vuole apprendere perché questo fa parte dell’animo umano e porta ad innalzare il livello vibrazionale di tutti, comprendere diviene un fatto naturale e privo di dolore, perché non c’è lotta. È questa che genera sofferenza, è la sua mancanza di allineamento con il divino che è in tutti noi.

Abolendo la lotta, dimenticandone persino l’esistenza, l’uomo può rigenerare le sue cellule stanche e riprendere il cammino che gli compete, in una nuova visuale, in cui la lotta non c’è neanche come ricordo. Le affermazioni positive la sostituiscono e il percorso della memoria di ciò che siamo ed è riempie il suo vuoto. È una guerra questa che conduce al successo senza morti e feriti. È la sostituzione del cambiamento in atto con la certezza della consapevolezza che porta a conoscere.

Tutti gli esseri umani e viventi devono sapere chi sono, da dove vengono e dove vanno, perché ci deve essere uno sprone e uno scopo in tutto quello che si fa. La sua mancanza porta a confusione, perdite di tempo, paura di agire, in memoria di vecchi dolori che si stagliano nell’anima e che danno il senso di vacuità delle cose. In poche parole ci rende schiavi del niente, del fare ripetitivo e tempestoso della vita corrente, che non si ferma a riflettere.

Al contrario, la consapevolezza di avere un fine attento a noi, e dal quale non prescindiamo ma con cui siamo un insieme totale, ci spinge a considerare la nostra vita per quello che è, un’esperienza di apprendimento evolutivo globale, che comprende tutti e tutto. E tale comprensione avviene particolarmente bene in assenza di emozioni negative, quando la mente è portata a considerare i lati benefici dell’esistenza e non a creare quelli ostacolanti. Si torna qui, al discorso dell’ostacolo, che caratterizza quest’epoca in finire del Kali Yuga, la più pesante di tutte, che ha avuto la sua motivazione, far capire fin dove possibile attraverso lo sbaglio, la dissonanza e la sofferenza, tutte espressioni della lotta, l’allontanamento dalla Sorgente comune, e della dualità che ne consegue.

È stata una libera scelta umana sperimentare con tecniche da lei create o prese in prestito da altri più evoluti nei mezzi ma non nell’interiorità. Siamo uniti al Cosmo intero, che è abitato da esseri di infinite diversità, legati dal filo conduttore dell’amore e della creazione nella loro base, ma non tutti nelle loro espressioni. Pertanto la scelta di accompagnarsi con alcuni o piuttosto con altri determina la nostra evoluzione o involuzione, sia pur temporanea o apparente.

Si può progredire con lo sguardo al Divino e l’animo puro, così come arraffando conoscenze e sapere di altri, senza il supporto spirituale. Considerando che questo è il motore della conoscenza cosmica e della sua applicazione nella materia, come i Grandi sanno, si capisce che non si possa evolvere veramente se non con il cuore. Questo è la base della crescita e porta a considerare gli altri per quello che sono, nostre espressioni realizzate in vitro dalla potenza della nostra mente ed espresse in concreto dalle forze della natura e cosmiche che ci sovrastano e ci accompagnano.

La guerra di Dio è la conoscenza dei meccanismi che ci muovono e che possiamo usare per crescere e creare senza lotta, riflettendo che tutti ci muoviamo in tutte le direzioni, fino a che non ne abbiamo privilegiata una che contempli e incameri le altre in un modo nuovo. Quello della scoperta dell’antico sempre esistente, il fluire della vita, senza ostacoli frapposti da noi stessi che vogliamo verificarci a ogni passo, perché non ancora soddisfatti di come siamo.

Rinunciamo ad osteggiare, a piangere su ciò che abbiamo fatto o non fatto. Non torna indietro il passato, ma può confluire in un futuro migliore, dove la lotta lascia il passo alla gioia di essere, con la consapevolezza di ciò. È impagabile la sua sensazione e senza paragoni. È questo prendere la scelta divina della consapevolezza che siamo tutti uno, è la guerra dell’amore insito in ciascuno di noi, dove il cuore ci comanda con l’intelligenza del sapere intuitivo, che è unito al Superiore e in Lui a tutti e pertanto sa che cosa è il meglio per ciascuno e l’insieme.  

PERDONO E DISTACCO

Il perdono è molto frainteso sulla Terra. Sembra essere necessario per la persona che si redime e non lo è, viene considerato indispensabile per chi lo dà e non è esattamente così. Capite, le cose viste da un altro punto di vista hanno un altro aspetto e appaiono completamente diverse. Perdono le loro pesantezze e necessità.

È utile il perdono, non fraintendetemi, ma non così oscuro e farraginoso o melenso come spesso viene presentato. È piuttosto distacco, comprensione, trasmutazione e completa armonia ritrovata, rispetto a un evento o a qualcuno che ci ha fatto del male o creato pesantezze.

Perdonare e poi essere nuovamente nella difficoltà comportamentale verso chi o che cosa ci crea difficoltà, nervosismo, dolore o peggio non è la soluzione per uscirne. Lascia un legame alterno, che non è distacco. Il perdono effettivo, reale è quello che ci fa sentire costantemente bene, anche se pensiamo ad un evento fastidioso o pesante che ci ha creato enormi difficoltà, o a una persona per noi malefica.

Si può fare, per quanto questo sembri difficile o persino impossibile, perdonare è fattibile e all’ordine del giorno, fino a che ci saranno esseri e eventi che lo richiederanno. L’importante è capire di che cosa si tratta e non pretendere attività da questo dissociate e non pertinenti. Non si tratta di dire “passami sopra e fammi tutto quello che vuoi, che sempre ti perdonerò”, né di dire “me lo merito”. No, non è questo.

È una forma di consapevolezza e di visione più ampia, per cui ci rendiamo conto che abbiamo concordato in buona parte quanto accaduto o che accade, prima di incarnarci nell’attuale vita e che, nella linea temporale, abbiamo vissuto per nostra scelta qualche cosa che ci ha portati all’evento che ci infastidisce o peggio. Ciò non significa che dobbiamo continuarlo a vivere, ma che dobbiamo prenderne atto come qualche cosa che in quella forma o in una simile doveva accadere, per poter essere superato. E proprio questo abbiamo da fare, comprendere e distaccarci da ciò che non ci riguarda più e che è ormai diventato obsoleto nella nostra vita. Questo è saggio, intelligente, futuristico e estremamente arcaico, fino all’origine della creazione.

La verità sempre quella è, ma il modo di applicarla o vederla cambia, fino a che non si riprende una certa dimestichezza con la nostra interiorità. Niente sensi di colpa, perciò, se non perdoniamo immediatamente chi ci fa del male, ma piuttosto chiediamoci che cosa ciò significhi. Guardiamo il significato della parola, donare per qualcuno, rinunciare alla vendetta, sia pur giusta o comprensibile da un punto di vista sociale.

Decidere di non vendicarsi comporta una distanza di veduta e di fatti, un distacco, un allontanamento dall’accaduto, non per bontà, a volte incomprensibile, rispetto al malfattore, ma per amore nei propri confronti, per rispetto di se stessi e per comprensione degli eventi a livello più ampio o intuitivo. In poche parole prendere il distacco da ciò che potremmo fare, e che sarebbe comprensibile, aiuta noi ad incamminarci in altre direzioni, a patto che siamo sinceri.

A volte ci sembra di perdonare e sul momento è anche così, ma in profondità non lo è. Oppure abbiamo semplicemente un’alternanza di sentimenti e comportamenti che ci impediscono il distacco reale, quello che ci porta subito fuori dalla sensazione di fastidio e disagio, che ci prende quando pensiamo a chi in qualche modo ha abusato o si è approfittato di noi. Tanto è più pesante e duraturo nel tempo ciò che abbiamo subito e tanto più necessitiamo di un buon lavoro su noi stessi per uscirne vittoriosi, con distacco e senza giudizio, perché questo ci lega a chi ci danneggia o danneggia gli altri.

Il difficile è qui, nel non giudicare, ma anche questo è fattibile con l’allenamento. Come tutto nella vita, è una questione di pratica, di costanza e di attenzione. Considerare sbagliato un atteggiamento, un modo di fare o un’azione è doveroso, quando questi ledono qualcuno o qualcosa e il fastidio che si prova nel constatare tali eventi è inevitabile in un essere umano che tale voglia essere. Questo non è giudizio, è prendere le distanze, non condividere, intervenire in sostegno del giusto e distanziarsi con il proprio modo di fare da ciò che non ci piace nel cuore.

Il giudizio invece implica un legame tra chi compie le azioni nocive, anche se solo tramite pensiero e chi le sottolinea, riportandovi sempre l’attenzione. Quando si giudica si pensa a ciò o a chi si giudica e questo, più lo si fa, più forma un’unione tra giudicato e giudicante. Ecco perché giudicare fa male a chi lo fa. Fa bene essere chiari, intervenire, agire, ma distaccarsi e lasciare andare chi ha fatto male come qualche cosa che non ci interessa e non ci riguarda più. In questo c’è la grandezza del rinunciare a chiedere il ritorno di ciò che abbiamo subito, come singoli e come membri di una società, famiglia o gruppo.

Il distacco consapevole è la forma vincente del nostro agire e pensare, è ciò che ci porta su lidi nuovi e vittoriosi, dove carnefici, aguzzini e persecutori, consapevoli o no, non potranno approdare, se non dopo una totale catarsi. In poche parole, scegliamo la nostra compagnia mentale e fisica sulla scia del nostro benessere attuale e futuro e non sul ricordo di ciò che è stato. Il pensiero crea e dove lo indirizziamo viviamo. Il perdono in questo senso aiuta chi lo attua e vive completamente.

A chi lo riceve, se si è pentito, è utile come alleggerimento dalla preoccupazione di generare ancora danno in chi ha colpito, ma non altro. La sua colpa rimane e il peso delle sue azioni pure. Dovrà scioglierle nel karma, vivendo situazioni simili o peggiori, e più ne prenderà atto e accetterà ciò che ha generato e prima ne potrà uscire. L’accettazione delle conseguenze di ciò che abbiamo fatto, anche inconsapevolmente, accelera il processo di comprensione a cui ognuno è chiamato e pone chi ha sbagliato nella condizione di apprendere più rapidamente.

La considerazione poi che tutti, nell’arco delle nostre numerosissime incarnazioni, abbiamo compiuto atti sbagliati anche non voluti, ci porta più velocemente a perdonare, cioè a staccarci dal giudizio come legame e a volgerci a nuovi atteggiamenti. Forse in una vita passata, sia pur lontana, abbiamo compiuto un’azione simile a quella da noi oggi subita, o forse ne siamo stati complici o silenti testimoni. O forse no, e l’abbiamo permessa per dare una possibilità di comprensione agli altri, ma questo accade molto di rado. Solitamente a farlo sono gli Avatar, intesi come incarnazioni consapevoli della divinità, gli Yogi, i Grandi e poche anime progredite nel cammino dell’altruismo.

Non è un evento usuale, per ora, e comunque sia, anche se non abbiamo guadagnato con le nostre azioni passate ciò che abbiamo subito o subiamo, rimane il fatto che l’abbiamo accettato, forse per comprendere qualche cosa di più sottile, o per verificarci meglio, o solo per condividere un progetto di evoluzione altrui, di famiglia, di gruppo più ampio, generale. E tale accettazione ci rende partecipi, pertanto ci spinge a fare il lavoro fino in fondo e a allontanarcene appena ne sentiamo la possibilità, esercitando il distacco totale, la comprensione, lo sguardo lontano e profondo, inclusivo del perdono.

VOLONTA’ E INTENZIONE

La volontà è l’aspetto più importante dell’essere umano. Gesù diceva ‘pace agli uomini di buona volontà’ e così è. La volontà l’abbiamo tutti, perché anche solo per respirare serve, per mangiare e per ogni funzione basilare. Quello che non consideriamo è che è che non è la sua mancanza che ci difetta, bensì il suo corretto utilizzo.

Abbiamo il libero arbitrio che ci mette nella condizione di supportare il nostro operato con l’intenzione e questa determina la volontà. Ognuno di noi ha un’intenzione prima di agire, che se ne renda conto oppure no. L’intenzione è quella che ci determina come colori, vibrazioni, armonie. È quella che ci mette in risonanza con un aspetto del Creato o con un altro e con un nostro modo di vedere che lo rispecchia.

Siamo noi a decidere, a dare l’input a ciò che facciamo e a indirizzarlo nel senso che vogliamo e questo è dato dalla nostra intenzione. Un’intenzione malefica non porterà dei buoni frutti, così come una positiva potrà solo portare bene, per noi e gli altri. Bisogna considerare però che il karma non ha i nostri tempi, ma è in linea con le vie maestre che portano a supportare ogni essere al meglio per lui e tutti. Ciò significa che agendo dobbiamo impostare il nostro cuore al sorriso di Dio, senza attendere niente, perché i riscontri arriveranno, ma noi non sappiamo quando e neanche come.

Quello che aspettiamo potrebbe essere troppo poco per noi. A volte il Creato ci meraviglia con grandi risultati per pochi sforzi, ma noi non ricordiamo quelli fatti precedentemente, che si sommano agli ultimi. L’universo non dimentica, memorizza nell’Akasha e poi restituisce con precisione  e determinazione, perché la memoria cosmica non ha incertezze. Così noi attendiamo qualche cosa che non arriva e poi ci viene dato molto di più di quello che volevamo, anche se sul momento non sappiamo riconoscerlo.

In tutto questo, nel movimento in avanti del mondo e della sua risoluzione in altro, è fondamentale la nostra volontà, che brilla della luce che le diamo con l’intenzione. La volontà è poi indispensabile per mettere in pratica ciò che è il nostro movimento interiore, unita alla costanza che ci fa agire nel tempo. L’intenzione è la spinta iniziale essenziale, che dovremmo meglio considerare. Diventare consapevoli, anche qui è la parola chiave. La consapevolezza di ciò che facciamo, dei nostri pensieri e dei movimenti del nostro cuore, uniti o no alla mente, ci fa crescere nella nostra umanità e ci consegna al livello superiore dell’umano-divino.

La volontà è spesso usata con determinazione in atteggiamenti sbagliati per la razza umana, ma questo non comporta meriti, in quanto l’intenzione è scorretta. Esiste una legge che illumina il cammino a coloro che vogliono la ricerca del bene collettivo e, come dicevamo prima, questo può essere in apparenza duro e ostile. Utilizzare qui la volontà con perseveranza è indice di quanto siamo radicati nella nostra intenzione iniziale e quanto questa risplenda di luce propria, collegata a Dio.

Le intenzioni in linea con l’ego dei singoli o gruppi fanno danni per l’umanità e non solo. E questo più o meno a seconda della loro intensità e della protervia che vi viene aggiunta. La volontà usata per sostenerle è utile solo a chi la esercita, in quanto allenamento per il futuro, da usare in positivo. Ma non c’è altro, non c’è merito di costruzione divina e collaborazione con le Alte Sfere, perché manca l’intenzione luminosa.

Così è il meccanismo umano sulla Terra, una ricerca di attività che risplendano della luce originale del nostro percorso, per ritornare a casa, dove sempre siamo, in totale consapevolezza, fuori dal tempo lineare che ingloba e blocca l’immediata esecuzione delle nostre intenzioni. In altri pianeti, ad altri livelli, la creazione è istantanea. Noi dobbiamo esercitarci per arrivare lì e ciò è fattibile solo con in linea con l’armonia cosmica, altrimenti il karma e le forze divine interverranno per impedire ciò che non deve essere, o meglio per trasformare in luce ciò che appare oscuro. Questo nel rispetto del libero arbitrio, collegato con la volontà e con l’intenzione che le diamo e ci contraddistingue.