PERDONO E DISTACCO

Il perdono è molto frainteso sulla Terra. Sembra essere necessario per la persona che si redime e non lo è, viene considerato indispensabile per chi lo dà e non è esattamente così. Capite, le cose viste da un altro punto di vista hanno un altro aspetto e appaiono completamente diverse. Perdono le loro pesantezze e necessità.

È utile il perdono, non fraintendetemi, ma non così oscuro e farraginoso o melenso come spesso viene presentato. È piuttosto distacco, comprensione, trasmutazione e completa armonia ritrovata, rispetto a un evento o a qualcuno che ci ha fatto del male o creato pesantezze.

Perdonare e poi essere nuovamente nella difficoltà comportamentale verso chi o che cosa ci crea difficoltà, nervosismo, dolore o peggio non è la soluzione per uscirne. Lascia un legame alterno, che non è distacco. Il perdono effettivo, reale è quello che ci fa sentire costantemente bene, anche se pensiamo ad un evento fastidioso o pesante che ci ha creato enormi difficoltà, o a una persona per noi malefica.

Si può fare, per quanto questo sembri difficile o persino impossibile, perdonare è fattibile e all’ordine del giorno, fino a che ci saranno esseri e eventi che lo richiederanno. L’importante è capire di che cosa si tratta e non pretendere attività da questo dissociate e non pertinenti. Non si tratta di dire “passami sopra e fammi tutto quello che vuoi, che sempre ti perdonerò”, né di dire “me lo merito”. No, non è questo.

È una forma di consapevolezza e di visione più ampia, per cui ci rendiamo conto che abbiamo concordato in buona parte quanto accaduto o che accade, prima di incarnarci nell’attuale vita e che, nella linea temporale, abbiamo vissuto per nostra scelta qualche cosa che ci ha portati all’evento che ci infastidisce o peggio. Ciò non significa che dobbiamo continuarlo a vivere, ma che dobbiamo prenderne atto come qualche cosa che in quella forma o in una simile doveva accadere, per poter essere superato. E proprio questo abbiamo da fare, comprendere e distaccarci da ciò che non ci riguarda più e che è ormai diventato obsoleto nella nostra vita. Questo è saggio, intelligente, futuristico e estremamente arcaico, fino all’origine della creazione.

La verità sempre quella è, ma il modo di applicarla o vederla cambia, fino a che non si riprende una certa dimestichezza con la nostra interiorità. Niente sensi di colpa, perciò, se non perdoniamo immediatamente chi ci fa del male, ma piuttosto chiediamoci che cosa ciò significhi. Guardiamo il significato della parola, donare per qualcuno, rinunciare alla vendetta, sia pur giusta o comprensibile da un punto di vista sociale.

Decidere di non vendicarsi comporta una distanza di veduta e di fatti, un distacco, un allontanamento dall’accaduto, non per bontà, a volte incomprensibile, rispetto al malfattore, ma per amore nei propri confronti, per rispetto di se stessi e per comprensione degli eventi a livello più ampio o intuitivo. In poche parole prendere il distacco da ciò che potremmo fare, e che sarebbe comprensibile, aiuta noi ad incamminarci in altre direzioni, a patto che siamo sinceri.

A volte ci sembra di perdonare e sul momento è anche così, ma in profondità non lo è. Oppure abbiamo semplicemente un’alternanza di sentimenti e comportamenti che ci impediscono il distacco reale, quello che ci porta subito fuori dalla sensazione di fastidio e disagio, che ci prende quando pensiamo a chi in qualche modo ha abusato o si è approfittato di noi. Tanto è più pesante e duraturo nel tempo ciò che abbiamo subito e tanto più necessitiamo di un buon lavoro su noi stessi per uscirne vittoriosi, con distacco e senza giudizio, perché questo ci lega a chi ci danneggia o danneggia gli altri.

Il difficile è qui, nel non giudicare, ma anche questo è fattibile con l’allenamento. Come tutto nella vita, è una questione di pratica, di costanza e di attenzione. Considerare sbagliato un atteggiamento, un modo di fare o un’azione è doveroso, quando questi ledono qualcuno o qualcosa e il fastidio che si prova nel constatare tali eventi è inevitabile in un essere umano che tale voglia essere. Questo non è giudizio, è prendere le distanze, non condividere, intervenire in sostegno del giusto e distanziarsi con il proprio modo di fare da ciò che non ci piace nel cuore.

Il giudizio invece implica un legame tra chi compie le azioni nocive, anche se solo tramite pensiero e chi le sottolinea, riportandovi sempre l’attenzione. Quando si giudica si pensa a ciò o a chi si giudica e questo, più lo si fa, più forma un’unione tra giudicato e giudicante. Ecco perché giudicare fa male a chi lo fa. Fa bene essere chiari, intervenire, agire, ma distaccarsi e lasciare andare chi ha fatto male come qualche cosa che non ci interessa e non ci riguarda più. In questo c’è la grandezza del rinunciare a chiedere il ritorno di ciò che abbiamo subito, come singoli e come membri di una società, famiglia o gruppo.

Il distacco consapevole è la forma vincente del nostro agire e pensare, è ciò che ci porta su lidi nuovi e vittoriosi, dove carnefici, aguzzini e persecutori, consapevoli o no, non potranno approdare, se non dopo una totale catarsi. In poche parole, scegliamo la nostra compagnia mentale e fisica sulla scia del nostro benessere attuale e futuro e non sul ricordo di ciò che è stato. Il pensiero crea e dove lo indirizziamo viviamo. Il perdono in questo senso aiuta chi lo attua e vive completamente.

A chi lo riceve, se si è pentito, è utile come alleggerimento dalla preoccupazione di generare ancora danno in chi ha colpito, ma non altro. La sua colpa rimane e il peso delle sue azioni pure. Dovrà scioglierle nel karma, vivendo situazioni simili o peggiori, e più ne prenderà atto e accetterà ciò che ha generato e prima ne potrà uscire. L’accettazione delle conseguenze di ciò che abbiamo fatto, anche inconsapevolmente, accelera il processo di comprensione a cui ognuno è chiamato e pone chi ha sbagliato nella condizione di apprendere più rapidamente.

La considerazione poi che tutti, nell’arco delle nostre numerosissime incarnazioni, abbiamo compiuto atti sbagliati anche non voluti, ci porta più velocemente a perdonare, cioè a staccarci dal giudizio come legame e a volgerci a nuovi atteggiamenti. Forse in una vita passata, sia pur lontana, abbiamo compiuto un’azione simile a quella da noi oggi subita, o forse ne siamo stati complici o silenti testimoni. O forse no, e l’abbiamo permessa per dare una possibilità di comprensione agli altri, ma questo accade molto di rado. Solitamente a farlo sono gli Avatar, intesi come incarnazioni consapevoli della divinità, gli Yogi, i Grandi e poche anime progredite nel cammino dell’altruismo.

Non è un evento usuale, per ora, e comunque sia, anche se non abbiamo guadagnato con le nostre azioni passate ciò che abbiamo subito o subiamo, rimane il fatto che l’abbiamo accettato, forse per comprendere qualche cosa di più sottile, o per verificarci meglio, o solo per condividere un progetto di evoluzione altrui, di famiglia, di gruppo più ampio, generale. E tale accettazione ci rende partecipi, pertanto ci spinge a fare il lavoro fino in fondo e a allontanarcene appena ne sentiamo la possibilità, esercitando il distacco totale, la comprensione, lo sguardo lontano e profondo, inclusivo del perdono.